Poiché la croce era il trono della maestà del nostro Maestro e la cattedra da cui voleva insegnare la scienza della vita, Egli, innalzato su di essa, avendo confermato la dottrina con l'esempio, pronunciò le parole che comprendevano il sommo grado di carità e perfezione:
Prima Parola
«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno».
Aveva vincolato se stesso a questo principio dell'amore fraterno, chiamandolo il suo comandamento.
E per rafforzare la verità del suo insegnamento, lo praticò sul duro legno, non soltanto amando e perdonando i suoi nemici, ma perfino scusandoli per la loro stessa ignoranza.
E lo fece nel momento in cui la loro cattiveria giunse al vertice, quando cioè perseguitarono, crocifissero e bestemmiarono il loro Dio.
Questo è ciò che l'ingratitudine umana operò dopo aver ricevuto tanta luce, tanti precetti e soprattutto tanti benefici; e questo invece è ciò che il nostro Salvatore fece con la sua ardentissima carità, avendo in contraccambio i tormenti, le spine, i chiodi, la croce e le bestemmie.
Oh, fervore impenetrabile! Oh, soavità ineffabile! Oh, pazienza mai immaginata dagli uomini, ammirata dagli angeli e temuta dai demoni!
Uno dei ladroni, chiamato Dima, intuì un barlume di questo arcano: fu illuminato interiormente dalla preghiera di intercessione di Maria, perché potesse riconoscere il suo Redentore dalle prime parole che pronunciò sulla croce.
Mosso da profonda sofferenza e contrizione dei suoi peccati, rimproverò il suo compagno:
«Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male».
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli effetti della redenzione trovarono terreno fertile nel cuore del buon ladrone, del centurione e di tutti coloro che ebbero il coraggio di confessare il Signore elevato sulla croce; ma il più fortunato fu Dima, che meritò di sentire le sue seconde parole:
Seconda Parola
«In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
Oh, felice ladrone! Tu solo ottenesti la parola bramata da tutti i santi e giusti!
Agli antichi patriarchi e profeti non fu concesso di udirla: si reputarono già favoriti di scendere nel limbo e ivi aspettare per lunghi secoli il paradiso che tu guadagnasti in un attimo dando lietamente altra forma al tuo mestiere.
Ora cessi di rubare le cose altrui e terrene e subito rapisci il cielo dalle mani di sua Maestà; ma tu lo rapisci giustamente perché Egli te lo dona per grazia.
Tu fosti l'ultimo discepolo del suo ammaestramento nella vita e il primo a metterlo in pratica dopo averlo appreso.
Amasti e corregesti il tuo fratello, riconoscesti il tuo Creatore e riprendesti coloro che lo oltraggiavano; lo imitasti nel patire con docilità, lo pregasti con umiltà affinché in avvenire si rammentasse delle tue miserie.
Egli volle esaudire all'istante i tuoi desideri senza differire il premio che conseguì per te e per tutti i mortali.
Dopo che costui ebbe ottenuto la giustificazione, Cristo posò gli occhi colmi di amore sulla Madre che stava afflitta con Giovanni ai piedi della croce e, rivolgendosi ad entrambi, disse prima a lei:
Terza Parola
«Donna, ecco il tuo figlio!».
Poi disse al discepolo:
«Ecco la tua madre!».
Chiamò Maria "donna" e non "madre", perché questo secondo nome conteneva qualcosa di dolce e delicato e il pronunciarlo gli avrebbe arrecato una sensibile consolazione.
Durante la sua passione Egli non si concesse alcun conforto o sollievo esteriori, giacché vi aveva rinunciato totalmente, ma con la parola "donna" volle tacitamente intendere ciò:
«Donna, che sei benedetta fra tutte le donne e la più saggia tra i figli di Adamo.
Donna forte e perfetta, mai vinta dal peccato, fedelissima nell'amarmi, indefettibile nel servirmi, il cui amore le molte acque del mio supplizio non hanno potuto né spegnere né travolgerei, vado dal Padre mio e da adesso in poi non posso stare con voi, ma il mio discepolo prediletto vi assisterà e avrà cura di voi come madre: sarà vostro figlio».
Da quell'ora Giovanni la prese con sé e la venerò e servì per tutto il resto della sua vita.
Il suo spirito venne rischiarato da una nuova luce, affinché potesse conoscere e apprezzare degnamente il bene che gli era stato affidato: il più prezioso ed eccelso creato dal braccio dell'Onnipotente dopo l'umanità di Gesù.
Anche la Regina, che aveva compreso tutto, con umile riconoscenza lo accolse come figlio.
Gli immensi benefici della passione non impedirono al suo cuore generoso e colmo di benevolenza di prestargli obbedienza; Ella, infatti, agiva sempre al sommo grado di perfezione.
Si avvicinava già l'ora nona, sebbene per l'oscurità e la confusione sembrasse essere una notte tenebrosa.
Quarta Parola
Allora il nostro Salvatore proferì a gran voce la quarta parola dalla croce:
«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
Non tutti capirono quantunque Egli avesse parlato nella sua lingua.
Poiché la prima locuzione si esprime in ebraico con i vocaboli "Elì, El", alcuni pensarono che invocasse Elia, mentre altri, beffeggiandolo, dicevano: «Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!».
Il mistero di queste parole fu tanto profondo quanto occulto ai giudei e ai pagani e in esse si trovano i molti significati che i dottori di sacra Scrittura hanno loro conferito.
A me fu rivelato che il suo abbandono non consistette nella separazione della divinità dalla sua santissima umanità, così che cessasse la visione beatifica o si sciogliesse l'unione sostanziale ipostatica, che ebbe fin dall'istante in cui fu concepita per opera dello Spirito Santo nel talamo verginale e mai lasciò.
Questa dottrina è cattolica e vera.
È certo che anche l'umanità santissima fu abbandonata dalla divinità nella misura in cui non fu preservata dalla morte e dai dolori dell'acerbissima passione; il Padre, però, non lasciò del tutto il Figlio in quanto prese la difesa del suo onore e lo testimoniò permettendo alle creature di muoversi e di mostrare sentimento nel momento in cui Egli spirò.
Il Signore espresse un altro abbandono attraverso il lamento che sgorgò dal suo immenso affetto verso il genere umano, quello dei reietti e dei dannati.
Se ne dolse nell'ultima ora come aveva fatto nella preghiera nell'orto degli Ulivi, quando la sua santissima anima si era rattristata fino alla morte; infatti, la sua copiosa ed abbondante redenzione offerta per tutti non sarebbe stata efficace per essi, ed Egli sarebbe stato rifiutato da loro nella beatitudine eterna per la quale li aveva fatti e riscattati.
E poiché tutto ciò avvenne secondo il decreto dell'Onnipotente, Gesù eruppe in questo gemito generato dall'amore e dal dolore, volendo intendere:
«Perché mi hai lasciato senza la compagnia degli empi?».
Quinta Parola
Per rafforzare e dare più credito a ciò, il Signore aggiunse subito la quinta parola:
«Ho sete».
I tormenti e le angosce dovettero suscitare in Lui una sete naturale, ma non era tempo di manifestarla e tanto meno di appagarla: Egli non avrebbe mai parlato in tal senso, sapendo che si trovava vicino al trapasso.
L'espressione aveva un altro significato: la sua sete era che gli schiavi discendenti di Adamo non sciupassero la libertà che aveva guadagnato loro.
Desiderava ardentemente che tutti gli uomini, mediante la fede e la carità, la grazia e l'amicizia, traessero vantaggio dai suoi meriti e dalle sue sofferenze e non perdessero l'eterno gaudio lasciato in eredità.
Questa sola era la sete del nostro Maestro e solo Maria ne penetrò perfettamente il segreto.
Con il cuore colmo di struggimento e di tenerezza, chiamò interiormente a sé i poveri, gli afflitti, gli umili, i disprezzati e gli oppressi e li invitò ad accostarsi al Redentore perché mitigassero parzialmente - completamente sarebbe stato impossibile – la sua sete di anime.
I perfidi giudei e gli sbirri, coerenti con la loro infelice crudeltà, gli porsero, deridendolo e schernendolo, una spugna imbevuta di aceto e fiele in cima ad una canna e gliela accostarono alla bocca, perché ne bevesse e si adempisse così la profezia di Davide: Hanno messo nel mio cibo veleno e quando avevo sete mi hanno dato aceto.
Egli lo gustò pazientemente e ne inghiottì qualche sorso significando misteriosamente quanta pena gli avrebbe recato la dannazione dei reprobi, ma su richiesta della Vergine lo rifiutò subitaneamente e smise di bere; Ella, infatti, sarebbe stata la porta e la mediatrice per tutti coloro che avrebbero tratto profitto dalla passione e dalla redenzione.
Quindi Gesù pronunciò la sesta parola avvolta nel mistero:
Sesta Parola
«Consumatum est»,
cioè «Tutto è compiuto!».
E volle intendere:
«È compiuta l'opera della mia missione e del riscatto del genere umano, come è compiuta l'obbedienza con cui il Padre mi inviò a patire e morire per esso.
Si sono adempiute le Scritture, le profezie e gli esempi dell'Antico Testamento, come è compiuto il corso della vita sofferente e mortale che accettai nel castissimo grembo di mia Madre.
Lascio al mondo il mio esempio, l'insegnamento, i sacramenti e gli aiuti per rimediare al male e al peccato.
È soddisfatta la giustizia dell'Altissimo ed è assolto il debito della posterità di Adamo.
La Chiesa è già in possesso del perdono dei peccati che saranno commessi, e tutta l'opera dell'incarnazione e della redenzione ha raggiunto la massima perfezione per la parte che mi riguarda come Salvatore.
Per l'edificazione della Chiesa trionfante è stato già posto il sicuro fondamento nella Chiesa militante: nessuno potrà alterarlo né mutarlo».
Tutti questi misteri sono contenuti nelle brevi parole "Consumatum est!".
Volgendosi l'opera della redenzione verso la perfezione del compimento, ne conseguì che, come il Verbo incarnato era uscito dal Padre per mezzo della vita mortale ed era venuto nel mondo, così, per mezzo della morte, ritornasse da questa vita al Padre con l'immortalità.
Settima Parola
A questo punto Cristo pronunciò l'ultima parola:
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»,
e lo fece gridando a gran voce affinché tutti i presenti potessero udire.
Alzò gli occhi al cielo come se parlasse con Dio e subito, chinato il capo, rese il suo spirito.
LODE
ONORE
GLORIA
ADORAZIONE
VENERAZIONE
RIPARAZIONE
BENEDIZIONE
RINGRAZIAMENTO
AMORE
A TE
DIO UNO E TRINO